Il cane copia l'uomo
Così il cane copia l'uomo
ci somiglia più delle scimmie
Secondo una ricerca Usa l'attenzione di "Fido" batte il Dna dei primati
di CRISTINA NADOTTI
ROMA - Ci risiamo: gli adoranti possessori di cani penseranno una volta di più che non c'era bisogno di una ricerca universitaria per provare l'abilità del loro animale di capire i gesti e di osservare. Eppure, dopo anni in cui si è guardato con stupore agli scimpanzé, che imparano parole e numeri, sentire che i primati non sanno interpretare i nostri gesti mentre i cani lo fanno lascia esterrefatti.
Merito della coabitazione, perché mentre gli animali con il Dna più simile al nostro se ne sono stati per i fatti loro, i cani sono diventati, davvero, i nostri migliori amici e hanno imparato a conoscerci, capirci e manipolarci. Nell'ultima settimana, negli Stati Uniti due pubblicazioni hanno gettato nuova luce sul modo in cui i cani capiscono e osservano i nostri comportamenti, ed è interessante che lo abbiano fatto da due punti di partenza diversi. L'esperta in scienze cognitive Alexandra Horowitz, nel suo libro (non ancora tradotto in Italia) "Visto da un cane: quel che un cane vede, fiuta e conosce", parte dalla biologia per arrivare alla conclusione che "i cani sono attenti osservatori delle nostre reazioni" e che "sebbene abbiano ereditato una certa avversione a fissare negli occhi, sembrano predisposti a scrutare i nostri visi per avere indicazioni, rassicurazione, guida".
La ricerca condotta dall'antropologo evoluzionista della Duke University Brian Hare, e pubblicata da Time Magazine, è invece partita dalla prova empirica, eseguendo test su oltre un migliaio di cani. Dopo aver fatto annusare loro un biscotto, Hare lo nasconde sotto un bicchiere di carta capovolto, mettendone due uguali a poca distanza l'uno dall'altro. Il cane non può aver visto dov'è il biscotto, ma quando l'antropologo punta l'indice verso un bicchiere, si dirige senza esitazioni verso il contenitore che gli è stato suggerito. Sono pochissimi i cani che non seguono l'indicazione e questo, per Hare, è ancora più sorprendente se si considera che né i lupi, dai quali i cani discendono, né gli scimpanzé, sono in grado di fare altrettanto. Per l'antropologo si tratta di un'abilità acquisita quando cominciò l'addomesticamento: i cani in grado di capire i gesti degli umani conquistavano più cibo come ricompensa.
Nel corso del tempo, argomenta l'antropologo, "l'intelligenza sociale dei cani divenne simile alla nostra in modo inquietante e non solo nella loro capacità di seguire un dito puntato, ma anche nel commettere lo stesso tipo di errori di valutazione che facciamo noi".
Il libro della Horowitz cerca di capire com'è essere un cane. Prendete la vista: l'occhio del cane è in grado di catturare le variazioni di luce con una velocità di gran lunga maggiore del nostro e ciò fa sì che "la sua visione del mondo sia più rapida, poiché per ogni secondo riesce a catturare più immagini". Il risultato di ciò nel rapporto con noi è che "i cani riescono a prestare attenzione anche ai brevissimi intervalli dei nostri ammiccamenti" e quindi reagiscono meglio alle più lievi variazioni della nostra mimica facciale. E la Horowitz, cosa che conoscono bene i suoi estimatori, non lesina i consigli per chi addestra i cani, sottolineando che non è necessario impartire ordini con voce perentoria o punizioni per ottenere quel che si vuole, perché così come i lupi, anche i discendenti addomesticati sono in grado di imparare dall'esempio.
Questa non è una bella notizia: non significherà mica che per non farli salire sul divano dovremo evitare di starci anche noi?
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